Una giornata non basta e forse, per dimensioni e gravità del fenomeno, non è mai stato vero come quest’anno.
Alla fine dello scorso anno – riferisce il rapporto dell’UNHCR Global Trends – risultavano in fuga 79,5 milioni di persone, riferisce il rapporto annuale dell’UNHCR Global Trends. Quasi venti milioni di persone in più della popolazione italiana. Un numero mai raggiunto prima. A peggiorare il quadro è un dato in controtendenza rispetto agli anni ‘90: l’aumento del numero di persone costrette alla fuga eccede largamente quello delle persone che hanno trovato un luogo sicuro dove vivere e crescere la propria famiglia.
Da cosa fuggono? Dalla guerra per lo più, ma anche da persecuzioni etniche e religiose. Vengono soprattutto dalla Siria, distrutta da un conflitto che dura da oltre 10 anni: 13,2 milioni sono i siriani rifugiati, richiedenti asilo o sfollati interni. Fuggono anche da altre zone: dalla Repubblica Democratica del Congo, dalla regione del Sahel, dallo Yamenm e ancora dall’Iraq, dall’Afghanistan, dal Pakistan… La maggioranza di loro non esce dai confini del proprio Paese: 45,7 milioni sono sfollati all’interno. La cifra restante è composta da persone fuggite oltre confine, 4,2 milioni delle quali in attesa dell’esito della domanda di asilo, e 29,6 milioni tra rifugiati (26 milioni) e altre persone costrette alla fuga fuori dai propri Paesi. Molti di loro cercano di fare ritorno a casa, altri di avere una nuova vita altrove. Non è vero che si spostano verso il più ricco Nord Europa: la maggioranza di loro sceglie di restare nel proprio Paese o nelle nazioni confinanti. E quindi la maggiornaza di loro resta nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.
I minori in fuga sono circa 34 milioni e decine di migliaia sono quelli non accompagnati.
Celebriamo oggi, 20 giugno, la Giornata internazionale del rifugiato (World Refugee Day). Furono le Nazioni Unite, nel 2011, a stabilire questa data per commemorare, a cinquant’anni di distanza, l’approvazione della Convenzione di Ginevra sullo stato dei rifugiati del 28 luglio 1951.
Il diritto di mettersi in salvo e il dovere di accogliere è sancito dalla Convenzione di Ginevra che a soli tre anni dalla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo del 1948, cercò una soluzione per i tantissimi rifugiati che in Europa cercavano asilo dopo il secondo conflitto mondiale.
Da oltre 70 anni l’Europa vive in pace, ma la nostra condizione di privilegiati non ci può impedire di vedere ciò che accade nel Mediteraneo e nel Medio Oriente. Anzi, è proprio la gestione di questo problema a costituire un ineludibile banco di prova della nostra civiltà che misuriamo in base alla nostra capacità di accogliere e integrare donne e uomini disperati in fuga da guerre sanguinose e persecuzioni. Si tratta della difesa dei fondamentali diritti dell’uomo che ci riguarda tutti. E si tratta di mettere in campo politiche e risorse europee capaci di armonizzare gli interventi nazionali e sostenere corridoi umanitari destinati ai rifugiati.
Per affrontare questo fenomeno è necessario non sottovalutare il ruolo delle comunità locali, l’insostituibile impegno dei professionisti e il ruolo svolto dagli assistenti sociali che da sempre sono coinvolti nelle diverse fasi di questo fenomeno: dallo sbarco, alla protezione, all’accompagnamento e alla costruzione di percorsi di integrazione e convivenza. Ma non solo: l’assistente sociale è impegnato nella promozione di una nuova cultura dell’accoglienza capace di cambiare, attraverso progetti e proposte, la percezione del fenomeno migratorio da problema a risorsa per tutti. Questa fu l’esperienza di P.U.E.R.I,il progetto gestito dalla Fondazione nazionale finanziato dalla Commissione europea nell’ambito delle Emergency assistance Fami 2016. L’obiettivo del progetto, favorire la presa in carico e l’accompagnamento nel percorso di accoglienza dei minorenni stranieri non accompagnati, ha consentito di proteggere e integrare proprio i più fragili preservandone non solo l’infanzia, ma le potenzialità di ognuno di quei piccoli.
La sfida delle migrazione si vincerà soltanto insieme e passa dalla consapevolezza che la ricerca di una vita migliore è un diritto inalienabile.