PRIMO MAGGIO. Una vita dignitosa per tutti senza contese tra lavoro e salute

Primo Maggio, Festa del lavoro

Nel celebrare la Festa del Lavoro non possiamo non ricordare che forse mai, come in questo lungo anno di pandemia, si è discusso se attribuire la supremazia al diritto alla salute rispetto al diritto al lavoro, o se invece non sia vero il contrario. Ben pochi però si sono soffermati sull’analisi delle condizioni in cui questa pandemia ha travolto il mondo, un mondo già attraversato da profonde disuguaglianze tra ricchi e poveri. Differenze che la pandemia ha mostrato in tutta la loro drammaticità, approfondendo il divario tra chi ha potuto stare a casa e lavorare ugualmente, chi è stato a casa e, anche senza lavorare, ha avuto lo stipendio e chi invece è stato costretto ad uscire perché altrimenti non avrebbe avuto nulla.

Tra gli studenti dotati di computer per seguire le lezioni a
distanza e chi invece non ha nemmeno la rete a disposizione.

Tra chi il “posto” lo ha perduto per sempre e chi ha potuto
avere un ammortizzatore sociale.

Tra immigrati regolari e clandestini.

E addirittura tra anziani e giovani.

Queste considerazioni ci aiutano a comprendere che non si
tratta di stabilire la supremazia di un diritto sull’altro, ma che senza le
fondamentali tutele che salute pubblica, welfare e rete dei servizi esercitano
su tutta la società, non vi sarà né progresso né diritto alcuno, nemmeno quello
al lavoro. Ci aiuta a comprendere che non si tratta solo di avere un’occupazione,
ma di costruire una società in cui sia possibile che nessuno, nonostante le
crisi economiche, finanziarie e sanitarie, resti escluso per sempre dal mondo
del lavoro. Ma non solo: che il lavoro sia dignitoso, tutelato e corrisposto in
modo adeguato. Che permetta quindi di realizzare una esistenza piena e non la mera
sopravvivenza.

Se c’è una cosa che ogni assistente sociale conosce è il
baratro che si spalanca dinnanzi a chi non ha lavoro, a chi se lo è visto
portare via dalla crisi, a chi non riesce a trovarne uno che gli garantisca un
reddito stabile.

Il nostro primo pensiero è proprio per chi un lavoro non ce
l’ha. Lo scrivevamo un anno fa, riferendoci alle previsioni Istat 2020 rispetto
a ciò che si riteneva fosse un rischio di contrazione per il 2021, e oggi
l’Istituto di statistica nazionale lo conferma: rispetto al 2020 la diminuzione
degli occupati è di 945mila unità, poco meno di un milione di posti di lavoro
perduti.

Senza lavoro non c’è alcuna possibilità di vita, non ci sono
risorse per la famiglia, per i figli, per la salute. Si scivola ai margini
della società e si corre il rischio di entrare nel novero dei poveri. Un
rischio che nel nostro Paese sembra piuttosto fondato. In un anno è infatti già
accaduto a 335 mila famiglie e a oltre un milione di persone in più rispetto
all’anno precedente: oggi 2 milioni di famiglie italiane vivono in povertà
assoluta (il 7,7% del totale contro il 6,4% del 2019 e
complessivamente sono 5,6 milioni le
persone che si trovano nelle medesime condizioni (il 9,4%
contro 7,7% del 2019.

Il contrasto alla povertà, che non si cancella per legge, lo
si realizza attraverso il consolidamento del sistema del Welfare e con una rete
efficace e capillare di servizi alle persone. Una rete che si sostiene con
finanziamenti certi e politiche mirate. Mirate alle fragilità, ai bisogni,
alle difficoltà, ma anche alle possibilità, alle potenzialità che possono
essere rintracciate, rimesse in movimento e tornare ad essere produttive, per
se stessi e per gli altri.
E’ uno dei compiti che gli assistenti sociali
svolgono, in prima linea, da sempre: un impegno prezioso al servizio di chi
oggi è in difficoltà, destinato a sorreggere chi ha perso il proprio lavoro, ma
non per questo deve abbandonare la speranza di ritrovarlo e di tornare a vivere
con dignità la propria vita.

Sono grandi e complesse le sfide che ci attendono, profonde le
modificazioni a cui la società tutta andrà incontro: avremo bisogno di
solidarietà, di sostegno, di reciproco aiuto. Questa celebrazione del Primo
maggio ci stimoli a non dimenticare che, come la pandemia ci ha insegnato,
siamo uniti gli uni agli altri e che se non vi sarà una possibilità per
ciascuno, un lavoro dignitoso per ciascuno, non vi sarà futuro per nessuno.