La Giornata internazionale della famiglia fu istituita nel 1994 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che la definì il “fondamentale gruppo sociale e l’ambiente naturale per lo sviluppo e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare i bambini”.
Oggi sono davvero grandi le preoccupazioni per l’elevato numero di famiglie che sono scivolate, o rischiano di scivolare, in una condizione di povertà per le conseguenze del così lungo protrarsi della pandemia. Se la famiglia è il primo gruppo sociale per la tenuta della nostra società, specifici e mirati devono essere gli interventi e le politiche a suo sostegno, sul piano dei servizi, delle opportunità e degli aiuti. Secondo l’Istat i dati riferiti al 2020 sono i peggiori dal 2005: sono oltre 2 milioni le famiglie in povertà assoluta (il 7,7% del totale contro il 6,4% del 2019,) con un aumento di 335 mila famiglie. Povertà assoluta significa mancanza di reddito da destinare a casa, cibo, educazione, salute.
Per tutto questo lungo anno di pandemia le famiglie italiane hanno affrontato, spesso in solitudine, eccezionali compiti educativi e di cura. Come assistenti sociali ci siamo trovati a dover fronteggiare non solo le fragilità e i bisogni già noti, ma particolare attenzione è stata posta nell’intercettare i nuovi bisogni e nel recepire le domande di aiuto delle famiglie. Mentre tutto attorno a noi cambiava, abbiamo sperimentato inedite modalità di intervento in una situazione i cui sviluppi non erano facilmente prevedibili. E oggi siamo già impegnati al fianco delle nuove fragilità che la pandemia ha fatto emergere, preoccupati dalle conseguenze di quello che potremmo definire il peggior periodo vissuto dal secondo dopo guerra.
Ma se vorremo essere in grado di progettare un futuro diverso, dovremo far tesoro di quanto abbiamo imparato in questo momento di straordinaria complessità e criticità. È proprio la pandemia ad aver messo in evidenza il capitale sociale, ed economico, che la famiglia rappresenta e, allo stesso tempo, ad aver fatto risaltare il valore fondamentale dei contatti e delle relazioni con i servizi di sostegno. Dobbiamo impedire che nuove disuguaglianze aggravino un quadro che già prima della pandemia non era certo roseo: servono investimenti strutturali a sostegno delle famiglie e non soluzioni “una tantum”, rafforzamento dei servizi e progettazione di un nuovo sistema di welfare.
Un impegno al contrasto delle disuguaglianze che sul piano dei diritti gli assistenti sociali non faranno mancare a nessun modello di famiglia quale luogo degli affetti, della cura e del sostegno reciproco.
Come assistenti sociali siamo infatti consapevoli che tutte le famiglie che sappiano mettere al centro il benessere di ciascuno dei propri componenti sono e saranno il primo propulsore della comunità e dell’intera società.
L’art. 10 del nostro nuovo Codice deontologico ribadisce: “riconosciamo tutte le famiglie, nelle loro diverse e molteplici forme ed espressioni, nonché i rapporti elettivi di ciascuna persona, come luogo privilegiato di relazioni significative”.
Gli assistenti sociali sono in prima linea nella promozione di quel cambiamento culturale necessario perché, anche nel nostro Paese, si diffonda la consapevolezza che ogni famiglia ha uguali diritti e uguali doveri: la costruzione di una società più giusta passa infatti attraverso il riconoscimento dei diritti di ciascuno. Nessuno escluso.