Giulio, Patrick e milioni di altri. Dovunque, ogni giorno: “No alla tortura”

Si celebra oggi la Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura, ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1997. Fu scelto il 26 giugno per ricordare che in questo stesso giorno, nel 1948, fu ratificata la Carta delle Nazioni Unite, primo strumento internazionale contenente l’obbligo per gli Stati di promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti umani, mentre il 26 giugno del 1984 entrava in vigore la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
 Ma cosa sta accedendo nel mondo se Amnesty International ha definito il 2020 “un anno terribile” per il diritti umani?

Migliaia di donne, ragazze e bambine sarebbero vittime di stupri di guerra nella regione del Tigray, in Etiopia settentrionale al confine con l’Eritrea dove i militari bloccano l’accesso alle vie di comunicazione e dove ormai l’80% della popolazione (6 milioni di persone) rischia di morire di fame. Mark Lowcock, coordinatore dei soccorsi di emergenza delle Nazioni Unite, ha dichiarato che “non c’è dubbio che la violenza sessuale sia usata in questo conflitto come arma di guerra, come mezzo per umiliare, terrorizzare e traumatizzare un’intera popolazione oggi e una generazione successiva domani”.  E sempre in Africa, si consuma il conflitto a Cabo Delgado in Mozambico dove il 13 giugno sono stati decapitati altri due adolescenti in un contesto definito da Save the Children “una guerra contro i bambini” e dove migliaia di profughi in fuga verso la Tanzania sono respinti e costretti a tornare indietro. Abbiamo assistito alle persecuzioni degli Uigurii in Cina, secondo lo schema del genocidio. E ancora le carceri piene di detenuti politici in Egitto,  ricordiamo il nostro Giulio Regeni arrestato, torturato e ucciso e  Patrick Zaki lo studente egiziano che studiava a Bologna e che è detenuto nelle prigioni de Il Cairo dal febbraio 2020. Come lui, solo in Egitto, sono detenute 1.600 persone, la cui colpa è quella di avere espresso opinioni non gradite al governo.   E poi… la repressione in Bielorussia, le condanne contro i difensori dei diritti umani in Turchia, il giro di vite contro la società civile in India, il colpo di Stato in Myanmar. E soltanto pochi giorni fa in Ungheria il Parlamento ha approvato una legge fortemente voluta dal premier Orban che vieta la diffusione di materiale informativo sul cambio di genere e sull’omosessualità tra i minori di 18 anni.

La violazione dei diritti umani attraversa tutto il mondo: nel corso del 2020 in America 330.000 migranti sono stati espulsi dagli Usa verso il Messico, tra questi 13.000 erano minori non accompagnati, negli Usa la polizia ha ucciso 1.000 persone. In Brasile sono state uccise 3.181 persone in sei mesi, il 75% erano neri delle favelas. I difensori dei diritti umani uccisi nell’ America del Sud sono stati 264, l’80% del mondo, di cui 177 solo in Colombia.

Tutto questo orrore ci riguarda da vicino, come essere umani e come persone impegnate nella difesa dei diritti di donne, bambine e bambini, uomini, anziani, fragili, poveri.

Sbaglia chi pensa di essere al sicuro: finché non vi sarà rispetto, ovunque, dei diritti umani, nessuno sarà al sicuro.