Per la salute, contro lo stigma sociale…una pandemia lunga 40 anni

Oggi è la Giornata mondiale contro l’Aids e per la lotta all’Hiv.
Quaranta anni fa si registravano i primi casi travolgendo il mondo in quella che è stata la pandemia più importante della nostra storia recente. Scrivere di questo, mentre si affronta la quarta-quinta ondata di Covid-19 è particolarmente difficile…Sono oltre 36 milioni le vittime del virus Hiv, contro il quale non è stato trovato un vaccino efficace. E intanto la malattia, oramai divenuta endemica, ha continuato a seminare la paura e la discriminazione. All’inizio era la malattia dei gay, una sorta di castigo divino, poi è diventato il virus dei tossicodipendenti, poi il morbo delle prostitute. E ignorarne le modalità di diffusione ha significato far viaggiare il virus più veloce: tantissime sono le donne contagiate da partner che si rifiutano, ancora oggi, di usare adeguate protezioni. I dati evidenziano che le fasce dei giovani sono quelle maggiormente poste al rischio di contagio nel caso di femmine eterosessuali. Bisogna investire sulla prevenzione primaria e facendo campagne di sensibilizzazione adeguate al target di riferimento.

Se riguardassimo con attenzione la storia di questi 40 anni di convivenza con l’Aids, potremmo ricavarne considerazioni strategiche anche nell’attuale pandemia: 38 milioni di persone vivono con l’infezione da Hiv e ogni settimana vengono diagnosticate circa 5500 nuove infezioni. A fine giugno 2020, 26 milioni di persone con l’Aids hanno avuto accesso alle terapie antiretrovirali. Nel 2019 circa l’85% delle donne in gravidanza ha avuto accesso alle terapie per prevenire la trasmissione del virus al nascituro.  Garantire l’accesso alle cure significa salvare milioni di vite umane. In assenza di un vaccino efficace, questa è ancora la sola strada possibile: il numero dei decessi continua infatti a diminuire. Ed è proprio il contrasto alla diffusione dell’Aids che ha dimostrato quanto l’affermazione del diritto all’accesso alle cure misuri il grado della nostra civiltà. Ed è una lezione che l’attuale pandemia da Covid-19 ha reso ancor più attuale.

Ma se le cure fanno il loro effetto, e ancora si continua a cercare un vaccino che sia davvero capace di debellare l’infezione, resta tanto da fare sul piano della battaglia allo stigma sociale. Più difficile della lotta con l’Aids appare quella combattuta dalle associazioni e dalle istituzioni contro la discriminazione sociale. In questi 40 anni non abbiamo ancora imparato a considerarla un’ infezione che può arrivare a chiunque e che per proteggersi sono necessarie informazioni e conoscenza. E’ più comodo pensare che la cosa non ci riguardi.

A 31 anni dal Piano Nazionale PNAIDS, solo la metà delle Regioni  ha nominato la Commissione Regionale e mancano l’integrazione con i servizi territoriali, con gli attori extra ospedalieri e i servizi di prevenzione e sanità pubblica. Solo il 28% delle Regioni ha declinato il Piano per l’HIV a livello regionale. Ad oggi i sistemi di sorveglianza HIV e AIDS non sono unificati e non sono storicizzate una serie di informazioni potenzialmente utili a contrastare le infezioni e la malattia. I programmi e le strategie di sensibilizzazione e comunicazione non sono strutturate: solo il 37% delle Regioni realizza programmi di comunicazione mirata volta a sensibilizzare le popolazioni. Come assistenti sociali siamo accanto, e non solo oggi, a tutte le persone sieropositive che combattono la loro quotidiana battaglia per vedere riconosciuto il loro diritto ad una vita piena. Siamo al fianco di tutti coloro che soffrono per lo stigma sociale che tutte le istituzioni si devono impegnare a combattere. E chiediamo che le iniziative  sociosanitarie in materia siano più incisive, anche attraverso l’impiego di investimenti certi e continui per una migliore e più efficace battaglia sia sul piano della cura che dell’inclusione sociale.