“Tutti gli esseri umani sono nati liberi e con uguali diritti e dignità”. Recita così il primo articolo della Dichiarazione universale dei Diritti Umani approvata il 10 dicembre del 1948 dall’Assemblea delle Nazioni Unite.
Resta una dichiarazione di impegno che a distanza di oltre 70 anni non è ancora applicata in grande parte del mondo. Odio, razzismo, totalitarismi, persecuzioni religiose, schiavitù, disuguaglianze continuano su tutto il pianeta, spesso nella totale indifferenza dei governi e delle persone nate nella “parte giusta del mondo”.
Da qualche ora Patrick Zaki, arrestato dai servizi segreti egiziani il 7 febbraio 2020 dopo aver collaborato con l’organizzazione per i diritti umani “Egyptian Initiative for Personal Rights ”, ha potuto riabbracciare la sua famiglia. Fuori dal carcere, ma non libero.
Da mesi le coraggiose donne afghane ricordano all’Occidente da cui si sentono tradite che non si arrenderanno e poi la Cina con il caso della tennista Peng Shuai…
L’elenco potrebbe essere lunghissimo e ci conferma che questa giornata è necessaria, deve servirci per guardare il mondo con un nuovo sguardo e chiederci, da oggi e per tutto il tempo che avremo da vivere, se davvero siamo capaci di considerare tutte le donne e gli uomini della Terra come persone con diritti identici ai nostri, o ci basta invece vivere la nostra condizione di privilegio. Cambiare lo sguardo sulle cose è difficile, significa vincere ogni resistenza culturale, ogni pregiudizio razziale. Significa non pensare ai migranti economici o richiedenti asilo come ad una massa indistinta di disperati di cui il mondo può fare a meno. Dinnanzi alle immagini dei bambini morti per il freddo dei boschi ai confini con la Polonia dobbiamo ripensare che nel 1948 questa Dichiarazione aveva l’ambizione di lasciare per sempre dietro di sé gli orrori delle due guerre mondiali e della Shoah.
Dinnanzi alla sofferenza di chi non ha casa, non ha lavoro, non ha salute o è anziano, solo e fragile, non possiamo più pensare che la cosa non ci riguardi. E la pandemia ci ha insegnato che basta davvero poco perché tutti siano coinvolti.
Nell’esercizio quotidiano della professione, siamo chiamati a chiederci sempre qual è il nostro sguardo. Oltre le leggi, le norme e l’intero impianto giuridico italiano e internazionale dobbiamo sempre partire da noi stessi per affrontare la fragilità, la solitudine, la malattia, la povertà. Nessuno sa meglio di noi assistenti sociali, che una norma, per quanto perfetta, non basta se non vinceremo la battaglia, ancora tutta da combattere, del rispetto della condizione umana, della solidarietà, della convivenza, dell’accoglienza e dell’integrazione. Vigilare, dunque, riaffermare il primato della Dichiarazione dei diritti umani ogni giorno ricordandoci di essere parte di un solo mondo e che ciascuno ha lo stesso diritto alla libertà, alla vita, alla pace, alla salute, alla giustizia, al lavoro, alla casa, all’istruzione, alla serenità…