Nella Giornata internazionale dei diritti della donna, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali volge lo sguardo ad Est. Con preoccupazione, solidarietà e riconoscenza.
Per ricordare le conquiste politiche, sociali, economiche, le violenze e le discriminazioni di cui sono state e sono ancora oggi oggetto in tutto il mondo le donne, fin dal 1909 in America, dal 1911 in alcuni paesi europei e dal 1922 in Italia, l’8 marzo viene celebrata una giornata di riflessione su quanto ancora si debba fare per raggiungere una effettiva parità di genere, la pari dignità sociale, l’uguaglianza nell’accesso al benessere, al lavoro e alla giustizia sociale.
Oggi, dopo aver guardato in questi ultimi mesi al dolore delle donne afghane, i nostri occhi sono rivolti ad Est, alle tante Yuliya, Oksana, Nadiya, Sofiya, Hanna, Alina… a tutte le donne ucraine che hanno dovuto o voluto fare la scelta di lasciare le loro case per emigrare nel nostro Paese, impegnandosi nei lavori di cura. E a tutte quelle che sono rimaste, per occuparsi dei figli, dei genitori, dei malati di chi è partito. Donne per le quali il nostro Paese deve essere riconoscente, per i risvolti delle loro scelte.
Le lacune di un sistema di Welfare che ha lasciato indietro le situazioni di disabilità, non autosufficienza, figli e famiglie, caricando il peso sulle donne, hanno generato, negli anni, una continua crescita del lavoro di assistenti familiari, badanti, colf, baby-sitter, figure impiegate nel settore del lavoro domestico. Un ambito di grande rilevanza non soltanto per il numero delle persone coinvolte, ma anche per l’impatto sociale ed economico.
Secondo i dati del terzo rapporto annuale diffusi nel 2021 dall’Osservatorio nazionale sul lavoro domestico Domina, gli stranieri rappresentano il 68,8% dei lavoratori domestici. L’Ucraina, con più di 66.000 lavoratori, in grandissima parte donne, è il secondo Paese maggiormente rappresentato, con il 14,6%.
Donne che forniscono un contributo silenzioso, ricoprendo ruoli fondamentali e di responsabilità, prendendosi cura di bambini, anziani, famiglie, case di tanti italiani, assicurando presenza, attenzione e protezione.
In questi giorni si è tanto parlato del libro della premio Nobel Aleksievič “La guerra non ha un volto di donna”. Forse non ne ha il volto, ma di certo possiamo affermare di averne visto negli sguardi e nei gesti di tante donne ucraine che sono nel nostro Paese il riverbero. Incredulità, preoccupazione, timore per i propri cari, dolore, impotenza, desiderio di tornare, responsabilità del restare. Non abbiamo ancora dati certi sul numero di donne ucraine che hanno deciso di non interrompere il loro lavoro e di quelle che sono tornate nel loro Paese; non sappiamo quante persone vulnerabili e quante famiglie si sono trovate senza un punto di riferimento, non conosciamo il dolore e l’ambivalenza di quelle scelte. Non sappiamo ancora quante donne e quante bambine arriveranno nel nostro Paese, in fuga dalla guerra, allontanate dalle loro famiglie.
Sappiamo però che le e gli assistenti sociali, come l’articolo 42 del Codice deontologico prevede, metteranno a disposizione la propria professionalità per interventi diretti al superamento dello stato di crisi. Una ricorrenza con nuove tensioni e separazioni, anche quelle tra le donne russe e le donne ucraine, allontanate dal dolore, dalla preoccupazione e dai problemi della guerra.