La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999.
Una giornata che dobbiamo celebrare in memoria delle 103 mogli, compagne, fidanzate, sorelle, conoscenti… uccise in Italia da gennaio a ieri: una ogni tre giorni. E che va dedicata a tutte quelle che hanno avuto la forza, il coraggio di denunciare. Una giornata che deve diventare l’occasione per insegnare alle bambine e alle ragazze che nessun gesto di violenza va tollerato. Mai! Una giornata perché tutti gli uomini si fermino a riflettere e poi a isolare, denunciare, fermare i violenti che conoscono e tollerano.
Mentre, seppur di poco, in Italia calano gli omicidi, crescono del 6% i femminicidi rispetto al 2020, un anno tragico per le donne vittime di violenza, costrette a convivere, nel silenzio innaturale dei mesi del lockdown, con il loro carnefice. Forse mai come in quel momento si è compresa la natura di questo tipo di violenza che prima isola le donne fino a farle vivere in una sorta di tunnel senza via d’uscita, togliendo loro ogni tipo di speranza e che troppo spesso, in una escalation di aggressioni quotidiane, le uccide.
La violenza in famiglia resta la forma più frequente, così come crescono i delitti commessi da ex coniugi o partner: il tabù della inviolabilità delle mura domestiche va sconfitto, se queste nascondono disumanità.
Si tratta, da molto tempo, di invertire una rotta che di anno in anno peggiora. Segno evidente che quel che fino ad oggi è stato fatto, non è bastato. Il 27 giugno del 2013, per esempio, il Parlamento italiano, tra i primi in Europa, ratificava la Convenzione di Istanbul. Una ratifica importante, un passo istituzionale nella giusta direzione ma, cambiare in modo radicale una così profonda cultura patriarcale non è facile come un voto unanime nelle Camere! Ogni occasione andrebbe colta per consolidare e affermare il diritto di ciascuna donna a vivere una vita libera da minacce e violenza. Dalle aule scolastiche alle campagne di informazione e comunicazione condotte durante tutto l’anno, e non soltanto in vista del 25 novembre. Perché una giornata non basta per sconfiggere una forma così odiosa e radicata di violenza. Gioverebbe, da parte di tutti gli organi di informazione, una ferma condanna del carnefice, senza mai far passare, pur se tra le righe, l’idea che la violenza dei padri, dei fratelli, degli ex compagni si scatena dinnanzi a comportamenti non adeguati da parte delle vittime.
La denuncia da parte delle donne resta fondamentale, ma ogni segnale andrebbe colto, ogni livido e ogni ricorso al pronto soccorso andrebbero indagati, ogni parola, anche se sussurrata, andrebbe creduta e ogni situazione approfondita, dovunque, anche nelle aule dei tribunali. Così come i servizi territoriali dovrebbero essere adeguatamente e uniformemente strutturati, su tutto il territorio nazionale, e garantita sempre la presenza di una equipe multidisciplinare capace di suscitare fiducia e senso di protezione. Lo stesso vale per i centri e le case di accoglienza per le donne vittime di violenza la cui diffusione deve essere implementata e sostenuta. E proprio in queste ore è in discussione in Parlamento la mozione per il sostegno economico stabile di queste strutture che rappresentano, per le donne vittima di violenza, la sola vera alternativa alla convivenza forzata con i loro assassini. Mentre è in corso un lavoro comune tra le ministre del Governo. Come assistenti sociali tocchiamo con mano soprusi continui ai quali dobbiamo saperci accostare con professionalità e formazione adeguata. Ci attendiamo quindi che il Parlamento e il Governo facciano quello che dicono. Il nostro impegno ogni giorno, prima e ben oltre il 25 novembre. Cultura e prevenzione, perché non sia ogni volta troppo tardi